Arte e cultura
Sergio Ferroni
Sgaravatti:il concetto del cambiamento
Vie mai frequentate da altri artisti s’intersecano con sentieri che conducono verso aree, a prima vista familiari, ma in realtà difformi nei particolari da quanto visto in precedenza. E’ proprio questa la caratteristica principale del maestro: assimilare le creazioni dei grandi artisti e rielaborarle in forme totalmente nuove, grazie ad una visione della vita e dell’arte assolutamente priva di ripetitività, talmente originale da essere identificabile a prima vista, come un marchio di fabbrica. Apprezzato dai critici di mezzo mondo, l’eclettico artista ha ideato all’interno della sua splendida dimora sull’Appia Antica una vera e propria galleria personale, strutturata come un percorso delle tappe evolutive della sua arte, proposte allo spettatore come una “cronologia dello spirito”, un’ascesa verso forme via via più elaborate nel gusto, mature nella padronanza della tecnica, proiettate verso una trasformazione della materia a favore del concetto.
Dal punto di vista squisitamente realizzativo sono tre i supporti utilizzati dal Maestro Sgaravatti: cartone, metallo, tela tutti capaci di piegarsi al volere dell’artista, non senza la resistenza tipica della materia allo spirito, nel farsi da essere informe a portatrice di un concetto creativo. Infatti è il genere quello che ha reso famoso Eugenio Sgaravatti: l’astratto. Che però non è mai astrazione, pur liberando la mente dagli stereotipi del deja vu, della sequela di parole inconsuete e barocche di critici presuntuosi e antiquati che tengono lontana l’arte della comprensione. La pittura di Sgaravatti è, al contrario, comunicazione allo stato puro, intensa ma non immediata perché legata alla riflessione, alla compenetrazione nelle tinte che la sua anima sensibile quanto geniale riesce a trasmettere quando la sintonia si manifesta tra un rosso e un amaranto.
Sono questi i colori dominanti nella sua tavolozza, capaci di amalgamarsi in un “fil rouge” che conduce lontano, dà profondità al messaggio e garantisce un approdo verso il riconoscimento di un talento raro e fuori dagli schemi. Perché nella pittura di Sgaravatti non c’è l’intenzione di stupire, bensì quella di confermare aspetti della vita sociale che l’arte non deve eludere, ma rappresentare.
Così, la reiterazione di “macchioline rosse” - come ama definirle il Maestro - altro non è che la riproduzione di esseri umani, tutti uguali, incolonnati lungo la “strada dei numeri”. E se il cittadino a volte contesta l’idea di sentirsi “un numero”, - avvertendo l’esclusione da un’idea di esistenza che amerebbe vivere - può riconoscere, in tanti altri “numeri”, quantomeno l’idea di non essere solo. Insomma, l’acquisizione di uno “status quo” che non è una “diminutio” bensì una nuova consapevolezza della quale tenere conto. Allora, la rappresentazione di una modalità dell’animo diventa anche un paesaggio che s’intravede sullo sfondo di pensieri e riflessioni, aprendo uno spiraglio all’idea di esserci, comunque. Persino le opere non hanno un titolo, ma sono identificabili tramite un numero, in ordine di apparizione, testimoni attendibili di prese di coscienza che si sono succedute nel tempo, costituendo l’una la base dell’altra, mai sovrapposte ma sempre concomitanti.
Un esercizio di coinvolgimento progressivo che, lungi dallo stancare, attrae lo spettatore, indotto a confrontare e paragonare opere diverse alla ricerca degli elementi di cambiamento e di trasformazione del pensiero.
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