Arte e cultura
Marco Sani presenta presso il Tennis Club Parioli di Roma “ Mi dovrete uccidere”. A cinquant’anni dalla morte di Pasolini, insieme all’ autore interviene Vico Vicenzi modera Viviana Greoli, autore e regista Rai
Sergio Ferroni

“Mi dovrete uccidere”

Poche parole per presentare Marco Sani, l’autore del libro “Mi dovrete uccidere”,  edito da poco più di un mese ed Isabella Orazi, che interpreterà un breve monologo teatrale tratto da quello andato in scena al Teatro Tordinona dall’8 al 10 ottobre scorsi, che descrive il sofferente stato d’animo di Pier Paolo Pasolini in varie interviste,  e ha già ottenuto un importante riconoscimento al Festival della drammaturgia italiana “Schegge d’Autore”, che si svolge annualmente presso il Teatro Tordinona.

  Qualche parola in più per illustrare i contenuti dell’opera, il cui approfondimento critico sarebbe spettato a Liviana Greoli, autrice e regista della RAI, che, purtroppo, a causa di un’improvvisa influenza, non può essere oggi qui.

   Abbiamo, però, il piacere di avere con noi Gemma Mezza, componente del Consiglio Direttivo del Centro Internazionale Antinoo per l’Arte”, consorte e compagna di una vita del prof. Giancarlo Umani Ronchi, che effettuò la prima autopsia sul corpo di Pasolini presso l’Istituto di medicina legale di Roma, congiuntamente ai proff. Silvio Merli ed Enrico Ronchetti e che fu maestro di Marco Sani, allora alle prime armi. 

   Ma chi è Marco Sani?

  Un autorevole anatomopatologo, specialista in medicina legale e criminologia, che fa anche lo scrittore, peraltro di successo, e ha pubblicato diversi libri con particolare riferimento al mondo del cinema - biografie su Federico Fellini, Giulietta Masina, Flavio Bucci -.  E’giornalista pubblicista dal 1994 e fondatore del Premio cinematografico “Fregene per Fellini”.

    Ho conosciuto Marco, appunto, a Fregene, quando eravamo entrambi consiglieri della Proloco e nel triennio del nostro mandato ho imparato anche, ad apprezzarne le qualità di scrittore. Insieme abbiamo pubblicato, con il patrocinio del Comune di Fiumicino, “Un viaggio storico tra edifici e casali di Fregene e Maccarese”,  che ha riscosso successo tra gli appassionati.

   Quando Marco mi ha offerto di leggere le bozze del libro, gli sono stato molto grato, anche perché mi sono immediatamente reso conto che si trattava di un’opera molto interessante ed appassionante, che sottopone ad una attenta rilettura critica, condotta con il rigore professionale dell’anatomopatologo, basata sui fatti e sulla documentazione ufficiale piuttosto che sulle congetture, una tragica vicenda, che si è svolta 50 anni fa, la notte tra il 1 e il 2 novembre 1975, quando Pier Paolo Pasolini è stato massacrato all’Idroscalo di Ostia.

   Una vicenda che, ancora oggi, turba le coscienze per gli inquietanti contorni che la caratterizzano, complice un’informazione non molto attenta, se è vero che c’è voluta una “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”, (istituita con legge 7 agosto 2018 n.99) che, solo nel settembre 2022, ha fatto giustizia delle sentenze degli organi di giustizia e ha ridimenzionato una pubblicistica monocorde.

   In realtà, si tratta di una “rivisitazione” non così nuova, perché, tra i fiumi d’inchiostro che si sono scritti sulla vicenda, si erano già levate varie voci dissenzienti, ma sovrastate e sistematicamente smentite, prima, da indagini svolte in modo tale da compromettere le prove, poi da una stampa, amorfa o peggio, che, anziché ricercare la verità, ripeteva pedissequamente quello che si voleva fosse detto.                La Commissione parla di “gravi carenze investigative e di errate conclusioni” ed esclude, dopo 47 anni, il delitto a sfondo sessuale, rilevando che si trattò di un agguato teso a Pasolini, che sperava di recuperare alcune pellicole (pizze) del film “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, sottratte da un capannone a Cinecittà.

   Fabrizio De Andrè, con la sua amara ironia, già nel 1980, in memoria dell’intellettuale anarchico che molto in comune aveva con lui, cantava “una storia da dimenticare, una storia da non raccontare, una storia sbagliata” ma aggiungeva “mica male insabbiata”.

   Una storia da rileggere, se volete, ma in assenza di pregiudizi.

   Del resto, più di un’opera cinematografica aveva preso le distanze da una ricostruzione preconfezionata, tendente all’esecrazione di un “poeta corsaro”, come è stata spesso definito, più che ad indagare sulle vere ragioni della morte di un personaggio scomodo, fustigatore dei costumi, che contestava, senza paura, il Potere costituito, pur essendo pienamente consapevole dei rischi che correva. Poche ore prima di morire, in un’intervista a Furio Colombo, pubblicata postuma sul Corriere, aveva confermato il timore che si aspettava di essere ucciso, già manifestato allo stesso Colombo in un articolo del Corriere del 9 maggio 2005 (“Siamo tutti in pericolo”), e a Stoccolma, in occasione di un evento culturale, poco tempo prima della tragica notte all’Idroscalo di Ostia.

   Due trasmissioni televisive, molto recenti, hanno dato nuovo risalto, grazie anche alla testimonianza di diretti testimoni degli eventi, alle tante ombre e contraddizioni che caratterizzano, ancora oggi e nonostante tre gradi di giudizio, questa drammatica storia: Atlantide, uno degli ultimi impegni di Andrea Purgatori e Una giornata particolare di Aldo Cazzullo.

    Solo il 13 settembre 2022, la Commissione parlamentare di inchiesta, approva la Relazione conclusiva affermando, sia che “tutti convengono sul fatto che si sia trattato di un delitto di cui in sostanza, a parte la presenza di Pino Pelosi come esca, non sono mai stati scoperti i responsabili.”  E ciò, sia nel caso in cui si ritenga che la barbara uccisione sia stata opera di “un’aggressione di gruppo in un contesto prettamente malavitoso e di odio per gli omosessuali, un contesto, quindi, culturale, se non direttamente politico” sia che fosse stata causata “da un’aggressione premeditata e motivata dai temi su cui Pasolini stava scrivendo ed indagando, il malgoverno e la corruzione del mondo politico”.    

    Ma, prima di passare la parola all’ Autore, vorrei raccomandarvi la lettura della Prefazione e della Postfazione - il cantuccio manzoniano che il narratore riserva a sé stesso - e richiamare la vostra attenzione su quattro interessanti capitoli:

 lo stereotipo di Pasolini anticlericale; la figura di Giuseppe Pelosi; la metastasi della P2; il grande romanzo incompiuto “Petrolio”.

   Che Pier Paolo Pasolini fosse un convinto anticlericale è cosa nota, ma che fosse un comunista (marxista) cristiano, anche se non credente, e che collocasse il messaggio dei Vangeli alla radice della rivoluzione socialista, forse non è altrettanto risaputo.

“Una lettura del Vangelo è sempre un fertilizzante per una buona prassi marxista - scrive su Vie Nuove, nel 1962, e nel 1961, aveva scritto “in me ci sono duemila anni di cristianesimo: il mio patrimonio nel contenuto e nello stile.  Sarei folle se lo negassi e lasciassi ai preti il patrimonio del Bene.  Le parole di Cristo sono in noi, sono la nostra storia”.

   Un intellettuale, quindi, di sinistra ma a tutto tondo, libero e non integrato nel sistema che non esita a rimproverare i comunisti – di cui si sente parte in senso ideologico piuttosto che partitico - che, come uomini politici di opposizione, si comportano anch’essi come uomini di potere.

   Quanto a Pelosi, delinquente professionale che entra ed esce di galera, pur avendo usufruito di un trattamento privilegiato perché condannato una prima volta dal Tribunale dei minori, ha reso, fin dall’inizio, dichiarazioni false e solo nel 2005 si decide a dire, a Franca Leosini in una trasmissione televisiva (“Ombre sul giallo”), che l’aggressione era stata compiuta da sei persone, che parlavano con accento siciliano, e, nel 2011, nell’autobiografia (“Io so come hanno ucciso Pasolini”), riconosce di avere frequentato Pasolini da prima dell’incontro alla Stazione Termini e lo definisce un “galantuomo”.  La linea difensiva, fondata su menzogne ostinatamente ripetute nei vari gradi di giudizio, sarebbe stata portata avanti a causa delle minacce nei confronti suoi e della famiglia da parte dei veri esecutori dell’omicidio. Pelosi muore di tumore nel 2017 e si porta nella tomba le verità non rivelate, custodite in una cassetta di sicurezza, secondo il suo legale.

   Quanto alla P2 - Propaganda Due, fondata nel 1877, poi sospesa, ma ripresa da Eugenio Cefis, mortale nemico di Enrico Mattei, in senso non solo metaforico, che l’ha snaturata a fini eversivi, da lui direttamente gestita fino a quando è stato presidente della Montedison e lasciata in eredità a Lucio Gelli - si tratta di una loggia massonica che, secondo la suggestiva immagine che ci propone l’Autore, ha agito come una neoplasia sulla società italiana fino alla relativa metastasi.  Pasolini, grazie alle intuizioni di un intellettuale che non sa tacere, di uno scrittore che segue tutto ciò che succede ed immagina ciò che non si sa o che si tace, sa i nomi dei responsabili delle stragi, che si sono susseguite dopo il ’68, sa del vertice che ha manovrato, sa i nomi di quelli che hanno dato protezione politica, i fatti di cui si sono resi colpevoli.

   Io so - scrive in un famoso articolo sul Corriere della sera del 14 novembre 1974 - ma non ho le prove. Fornisce, però, tutti gli elementi che avrebbero consentito di individuare in anticipo il disegno eversivo perseguito dalla P2, di cui i giornalisti ed i politici, pur avendo le prove e certamente gli indizi, non fanno i nomi, fino ad ipotizzare, con grande anticipo, un compromesso “storico” - che definisce “realistico” -  tra due Stati confinanti (un paese corrotto, inetto e degradato dal consumismo e quello rappresentato da un’isola, separata dal potere effettivo) che, forse, salverebbe l’Italia dal completo sfacelo.

    Della P2 Pasolini non può evidentemente parlare contestualmente ma ne evoca la portata, intuendone l’esistenza, nel grande romanzo di cui inizia la stesura fin dal 1972.  Petrolio, che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto superare le due mila pagine, è un romanzo incompiuto, che si arresta alla pagina 522, ricco di premonizioni, ripercorrendo venti anni della vita politica italiana.  Il suggestivo titolo evoca l’oro nero ed i protagonisti, sotto nomi di fantasia, sono Enrico Mattei ed Eugenio Cefis.

    Marco Sani, basandosi sulle indagini svolte da Vincenzo Calia, il magistrato incaricato delle indagini sull’ incidente che causò la morte di Mattei, per trent’anni archiviata come accidentale, pone in evidenza che la ingente documentazione raccolta da Pasolini su Cefis lo porta ad accusarlo dell’omicidio di Mattei e dei catastrofici effetti della strategia della tensione, intuiti, ancora una volta, con grande anticipo.

    Petrolio costituisce, di conseguenza, secondo Calia, una “plausibile” ragione per fare fuori Pasolini e, per noi, un motivo in più per accreditare la tesi dell’Autore, e cioè che, si sia trattato di un omicidio politico, tra i non pochi, come quelli di Kennedy, di Olof Palme, di Aldo Moro e dello stesso Mattei.  Da ultimo, non si può concludere questa presentazione senza citare testualmente la Relazione finale della Commissione di inchiesta, approvata nelle sedute del 7 e 13 settembre 2022, che rappresenta l’ultima e più autorevole testimonianza ufficiale, promanante dal Parlamento, a conferma delle linee problematiche emergenti dal libro.

     La Sezione XXII, concernente “Le acquisizioni relative al furto della pellicola originale Salò e le 120 giornate di Sodoma e le possibili connessioni di quel crimine con l’uccisione di Pier Paolo Pasolini” così conclude:

     “Trascorso quasi mezzo secolo, l’assassinio di Pier Paolo Pasolini rimane insoluto. Appaiono ormai del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario, ma resta utile, in prospettiva storica, che le ricerche sul movente e sulle modalità dell’aggressione che ne causarono la morte, entrambe mai chiarite, siano eventualmente riprese, alla luce dei rilievi emersi dall’attività di questa Commissione di inchiesta”.

   In conclusione, l’impegno di questo libro - il cui titolo è già di per sé una provocazione intellettuale – non ha la pretesa di stabilire la verità, incompatibile, per definizione, con un delitto politico, quanto piuttosto di tributare un omaggio alla memoria di un grande intellettuale, scrittore, giornalista, regista cinematografico, riconosciuto a livello internazionale. Ma prima di passare la parola a Isabella Orazi per la lettura del monologo teatrale, sono lieto di comunicarVi che, a conclusione dell’evento, sarà offerto un aperitivo.

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