Arte e cultura
Andiamo a verificarlo a Zoppola (Pordenone), dove, nella Galleria Civica d’Arte “Celso e Giovanni Costantini”, ora prorogata al 30 marzo, c’è laMostra, deliziosa,Irene e le altre. La condizione della donna artista in Friuli (secc. XVI-XIX).
Sergio Ferroni

“Né donna né tela a lume di candela”?

Chissà se Enrico Lucchese e Stefano Aloisi, curatori della Mostra, si son resi conto di non ossequiare il proverbio ancestrale dei paraninfi dell’Alta Italia: “né donna né tela a lume di candela”!  All’ingresso, hanno posto, infatti, il grande olio del 1856 di Jacopo D’Andrea “Tiziano che insegna la pittura ad Irene di Spilimbergo”:  lì, il canuto, illustre Maestro cadorino e l’avvenente, fulva contessina in fiore si misurano, con colori e tela, proprio al chiarore dei ceri. Più consapevolmente, Lucchese e Aloisi hanno inteso lumeggiare un “ruolo delle donne”, furlane e giuliane, nelle arti figurative, presentando, spesso con opere inedite, oltre a Irene da Spilimbergo (1538-1559), Quintilia Amalteo (1541-1611), Felicita Sartori (1713-1782), Marianna Pascoli Angeli (1790-1846), Luigia Pascoli Angeli (1835-1885), Vittoria Peretti di Prampero (1876-1956), Alice Dreossi (1882-1967)e Claudia Panciera (1862-1937). Anche con il convegno del 31 gennaio a Spilimbergo  “La condizione della donna artista tra Friuli, Venezia Giulia e Veneto”, la coppia organizzatrice ha enfatizzato, sia il talento, sia la specificità, al femminile, da ricercarsi in giovani, quasi sempre aristocratiche, prima dell’Ottocento, e, poi, pure alto-borghesi, ma che, comunque, con il sostegno familiare, furono poste in grado di assecondare le proprie aspirazioni, dedicandosi allo studio, all’esercizio e giungendo perfino, come nel caso di Marianna Pascoli Angeli, a trarne vita e decoro. Riguardo all’influenza dei maschi o dei consorti, Lucchese e Aloisi danno atto, per esempio, dell’intimità proprio della Pascoli Angeli con Antonio Canova, o del successo che arrise a Felicita Sartori alla Corte di Dresda, dove si trasferì, nel 1741, con il marito, Franz Joseph Hoffmann, anziano Consigliere di Augusto II di Sassonia. Ma, la Sartori, figlia di un notaio, prima delle nozze era già tra le migliori allieve della celebrità Rosalba Carriera. In Mostra, nel novero dei 40 pezzi (dipinti, disegni, incisioni e libri, con una mappa del Friuli che alloca la presenza delle artiste nel tempo) è esposta una splendida incisione, attinta dalla Sartori dall’originale (“L’incontro tra Venezia, Minerva e la Storia”, oggi alla “Morgan Library” di New York) del Piazzetta, che la conosceva e l’apprezzava. Così come la contessa Marianna Pascoli non ricevette da Canova, conosciuto a Roma e più anziano di 33 anni, se non consigli e incoraggiamenti, a corredo di un sentimento che non mutò nemmeno dopo le nozze con l’Avv. Angeli. Quintilia Amalteo diventò moglie di un pittore, allievo del padre, da 29enne e con lunghi trascorsi di bottega.Alice Dreossi, rampolla d’industriali, fu una pittrice cosmopolita, con percorso avviatosi nell’Avanguardia e sfociato nell’intimismo floreale: ha vissuto 85 anni, senza sposarsi. Ecco perché, probabilmente, l’icona di quest’evento che stuzzica a migrare nel Friuli (Terra di emigrazione, ma anche di sapienza culinaria al femminile consacrata nel frico, nei cjarsons, nella brovada e nella gubana) non poteva che essere lei, Irene. Non se ne conosce una sola opera certa, eppure è consacrata artista, semplicemente, sulla scorta del mito: che esplose già nel 1561, poco dopo la sua morte, grazie alle 17 pagine (val la pena leggerle una per una, a Zoppola) della silloge di Dionigi Atanagi, fatta di versi e prose da letterati di tutto il nostro Paese. Mito riproposto, poi, nell’Ottocento, specie dai pittori del romanticismo storico, sedotti da questa donna veneziana (cioè, italiana e non asburgica), bella, colta, sapiente. Noi, forse, più di loro, all’uscita della Mostrasu Irene, riusciamo a cogliere l’essenza della sua singolare contemporaneità, avendola soppesata, in rapporto a “le “altre” che, dopo di lei, in quella parte d’Italia, vivranno non tanto da “donne sole”, quanto da “solo donne d’arte”. (Pietro Alberto Lucchetti)

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